Epoca: Cinquecento
Prezzo: € 9.900
Dipinto olio su tavola dalle dimensioni di 55 x 75 cm senza cornice e di 75 x 95 cm con cornice del pittore Biagio Pupini detto Biagio delle Lame ( Bologna 1515 - 1575 ).
Si ringrazia Alessandro Agresti per la sua ineffabile perizia.
Questa tavola (in ottimo stato di conservazione e di fine fattura esecutiva, attesta l'enorme fortuna delle inventive di Raffaello negli anni successivi alla sua dipartita: infatti è chiaramente ispirata al celeberrimo affresco del Parnaso licenziato per Giulio II in Vaticano. Mi pare interessante, far notare come non sia una semplice copia, né riproponga pedissequamente il prototipo, ma come ne dia una interpretazione personale ed estrosa, indice di un pittore di talento.
La prima cosa che balza agli occhi è il ruolo non secondario conferito al paesaggio, che nella pittura del Sanzio è sì descritto in modo particolareggiato, ma che è pur sempre uno sfondo alla scena principale: qua, come si passasse da una zoomata a un grand'angolo, il nostro pittore dilata le distanze tra gli astanti e indulge nella descrizione della quinta di natura, con una notevole sensibilità. La cogliamo sia nei sottili viraggi tonali della ripa dalla quale scende la cascatella, a conferire una certa profondità alla raffigurazione, come nella fattura capziosa e particolareggiata con la quale sono restituite le fronde crepitanti, fogli a foglia, a punta di pennello, con il pigmento più chiaro sulle punte a restituire anche le rifrangenze del lume.
È un paesaggio, questo, più corrusco e selvaggio di quello di Raffaello, che denota il deciso influsso del più eteroclito dei suoi allievi: il geniale e satumino Polidoro da Caravaggio che nelle pitture della chiesa di San Silvestro al Quirinale come in alcuni disegni dà una simile visione della natura; un elemento, questo, che come vedremo concorrerà nel formulare una più che plausibile attribuzione per la nostra opera. Nel gruppo centrale muta la posa del dio delle arti e quasi tutti di invenzione sono gli astanti sul secondo piano, il gruppo a destra a presenta varianti nelle vesti ma, nel complesso, segue piuttosto fedelmente il Parnaso, mentre nuova è l'invenzione delle figure a sinistra, a chiudere simmetricamente la composizione. L'autore della tavola sub judice declina il prototipo in chiave meno grandiosa e nobile, più leggera ed edulcorata rispetto alla grandeur e alla maestà che spirano dai protagonisti dell'affresco vaticano, ingentilendone le movenze anche per via delle proporzioni più sottili e di una certa semplificazione delle forme, che riscontriamo nelle anatomie, nelle fisionomiche che ricorrono senza molte varianti da personaggio a personaggio - anch'esse fori ere di una precisa proposta attributiva - nell'andamento dei panni di forma geometrica.
Proprio questi caratteri di soave equilibrio formale, piacevolezza espositiva, dolce euritmia delle forme colte con una certa naturalezza portano a collocare la nostra tavola in ambito bolognese, dove dal Francia in poI con i viaggi di studio a Roma e l'arrivo di opere dell'urbinate come la celeberrima Santa Cecilia, vi fu una vera rivoluzione nella scuola locale: il magistero di Raffaello fu quindi determinante per successivi sviluppi.
Tra gli artisti di rango operanti nel capoluogo felsineo, mi pare che il nome più calzante risulti quello di Biagio Pupini detto Biagio dalla Lame, la cui fisionomia si è venuta delineando in modo alquanto preciso negli ultimi anni. Ignoriamo luogo e data di nascita dell'artefice: la prima notizia che lo riguarda è del 1511, relativa alla commissione delle pitture nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Bologna, insieme a Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo seni or col quale stringerà un sodalizio che durerà oltre un decennio (vedi nel 1519 la fornitura di un disegno per una vetrata a San Petronio o nel 1527 l'esecuzione di affreschi nella chiesa di San Salvatore). Molto plausibile intorno al 1511-1519 un viaggio di studio a Roma,
testimoniato da disegni che copiano proprio opere di Raffaello oltre che di Polidoro da Caravaggio, del quale l'influsso proprio nella grafica è davvero preponderante, ma che appare in modo lampante anche negli affreschi di San Michele in Bosco (1525-1526, fig.2) dove l'uso del monocromo, lasensibilità per la restituzione degli sfondi di paese e le figurate esili e nervose sono un diretto portato della poetica dell'allievo di Raffaello.
D'altronde un'altra pittura ad affresco, quasi coeva come L'Adorazione dei Magi della chiesa dell' Annunziata a Bologna (fig.3, 1524-1525 c.a) mostra vari elementi confrontabili col Parnaso: vedi l'importanza e la descrizione del fondo di paese - ancora una volta chiaramente memore di Polidoro - le proporzioni un pò allungate delle figure, il disegno che ordina lo svolgimento alquanto semplificato delle vesti. È proprio in quel momento cheinizia una nuova collaborazione con uno dei pittori più moderni del momento, Girolamo da Carpi, collaborazione che durerà almeno fino al cantiere estense di Belriguardo compiuto verso il 1536 - 1537 - e che darà i suoi frutti in una delle opere più raffaellesche della carriera del Pupini, un veroomaggio alla già citata Santa Cecilia di Raffaello, ovvero la pala con La Vergine col Bambino incoronata dagli angeli e santi della chiesa bolognese di San Giuliano (1530 c.a,).
Già in quest'opera possiamo cogliere affinità con il Parnaso. nei panni dalle pieghe alquanto geometriche concluse dalla linea di contorno nitida, nell 'anatomia del Bambino con i stacchi dei muscoli alquanto semplificati, nel modo particolareggiato col quale sono restituite le chiome, come nelle somatiche(vedi quella di profilo). Rispondenze ancor più palmari in una coeva Natività della Pinacoteca Nazionale di Bologna nelle pieghe morbide dove il lume scorre dolcemente, dalla forma allungata, ma soprattutto nelle fisionomie, qua al limite della congruenza con quelle delle figurettedella nostra tavola: vedi il naso alla greca con la punta arrotondata, bocca piccola, mento un pò sporgente e occhi a mandorla dal taglio allungato, con l'iride a spillo. Inoltre ricorre, nuovamente, una notevole sensibilità nella restituzione della natura, soprattutto nelle fronde rese con lepicchiettature a punta di pennello intrise di materia.
Sono caratteri di stile, calati in un' atmosfera di aureo classicismo, che lasceranno il posto nelle opere successive a una maggiore astrazione formale, che si esplica in un disegno più nitido, panni più rigidi e geometrici, fisionomie stereotipate, un insistito raffronto dei lumi che portaa ombre più fonde e a un risalto statuario delle figure, come constiamo nella Sant 'Orsaia con le compagne della chiesa di San Giacomo (1550 ) che è anche una delle ultime opere conosciute di Biagio Pupini. In quell'anno l'artista è eletto Massaro delle quattro arti a Bologna: dal 1551 nonpiù il suo nome nei documenti, indice della sua scomparsa. Dai confronti qui proposti, quindi, questo Parnaso non solo è da attribuire a Biagio Pupini, detto Biagio dalle Lame, ma è da datare nella fase centrale della sua carriera, che poi ne è il punto apicale, intorno al 1530 c.a, dopo l'inizio della collaborazione con Girolamo da Carpi.
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Dr. Riccardo Moneghini
Storico dell'Arte