Epoca: Seicento
VENDUTO
Sono molto felice di presentare, fare conoscere e fare apprezzare direttamente questa rilevante coppia di "Scene di storia romana" dipinti a olio su tele, cm 105 x 130 senza cornice e di 125 x 155 cm con una incredibile cornice intagliata e dorata del XVII secolo, ambedue incentrate sul famoso episodio del "Ratto delle Sabine", frutto naturalmente di un'unica commissione. Infatti mentre in quello con Romolo, di cui ho parlato precedentemente, dinanzi alla tenda è raffigurato proprio il "Ratto", l'altro ritengo che si riferisca all'episodio susseguente con i Sabini che fecero irruzione a Roma, per riprendersi le loro donne che però, essendosi ormai unite ai romani, si adoperarono per riappacificare i due popoli che infatti poi si unirono con Roma quale loro epicentro.
Comunque essi costituiscono un'eccezionale nuova acquisizione al catalogo di Francesco Allegrini (Gubbio 1587 - Roma 1663), specialmente per quanto concerne la sua produzione di tele da quadreria, che di certo egli ebbe modo di affiancare a quella sinora più nota di affreschi in vari palazzi romani e della sua città natale, dove godette della protezione e del mecenatismo del vescovo Alessandro Sperelli che gli commissionò la Cappella del Sacramento nella Cattedrale.
L'attività dell' Allegrini quale affreschista e decoratore di palazzi romani - rimangono al suo attivo l'affresco in San Marco a Roma e i cicli nei Palazzi Colonna, Costaguti e Doria Pamphilj - è stata infine correttamente delimitata da E. Fumagalli e A.G. De Marchi distinguendola da quella del fiammingo Vincent Adriaenssen detto il "Mozzo di Anversa" da poco rimesso in luce, e sul quale anche il professore Sestieri ha portato un ulteriore un contributo (Studi sul Barocco romano. Scritti in onore di Maurizio Fagiolo dell'Arco, Skira, 2004, pp. 219-229).
Comunque, a fronte delle sue opere pubbliche - non si sono citate quelle a Gubbio e a Genova - può sorprendere la difficoltà di ricostruire un congruo corpus di dipinti su tela nei classici formati da quadreria, quale la rilevante coppia qui presa in esame, per i quali non dovettero certo mancare le occasioni a un pittore di successo come l' Allegrini. Ma a tale proposito vi è da rimarcare, a mio avviso, che tale compito, oltre a un certo disinteresse congenito della critica contemporanea, sia stato intrinsecamente ostacolato proprio dall' aspetto dicotomico della sua personalità, evolutasi dapprima sotto l'ascendente del Cesari per aprirsi poi a una determinante adesione al Barocco, senza tuttavia mai deflettere completamente da inflessioni manieristiche, particolarmente coltivate nella sua più fervida attività grafica ed emergenti chiaramente nelle sue "scene belli che" , parte vitale del suo operato, come risulta dai cicli sopra ricordati, confermati alla sua mano.
Evidenti sono le rispondenze stilistiche e figurative tra le versioni del ratto delle Sabine e le opere da quadreria tipiche dell'Allegrini con alcuni personaggi similmente atteggiati e con un'enfatizzazione propria del Barocco, esplicando comunque delle differenze interpretative ed espositive per una piena adesione al Barocco, ma già sottesa da attenuazioni classicistiche nel concedere maggiore peso alla figura umana, con il gruppo centrale emergente, in entrambi dei quali assai fitta e la presentazione dei personaggi, pur concedendo un debito spazio nella metà superiore, in uno alla raffigurazione di una cinta muraria con torrioni squadrati in diagonale e uno sfondo paesaggistico nella parte destra, e nell' altro alla raffigurazione della tenda di foggia più seicentesca che romana, così come il complesso fortificato con i possenti torrioni circolari.
Comunque in questi due quadri, due capolavori in assoluto dell'intero curriculum dell' Allegrini, il pittore mostra di avere assimilato pienamente la lezione del Berrettini, nel cui atelier si era trasferito dopo la morte del Cavalier d'Arpino nel1640, nell'orchestrate vaste masse di personaggi con un riempito dinamico di pieno gusto barocco, denunciando alcune reminiscenze manieristiche nella sciadell' affresco capitolino del Cesari, come il gruppo dei cavalieri nel quadro con la cinta muraria e in cui l'attenzione dell' autore si concentra su alcuni splendide coppiedi personaggi di più dettagliata definizione e di più vivide gamme cromati che, come quello con la donna dalla vesta azzurra a sinistra e l'altro con il guerriero ferito steso a terra accanto al suo scudo a destra.
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Dr. Riccardo Moneghini
Storico dell'arte